Sottovalutato è l’uso corretto di accento acuto [ ´ ] e accento grave [ ` ] per distinguere la diversa grafia delle vocali accentate; sarà che la “correzione automatica” oggi risolve tante cose, sarà che la tastiera confonde, e tuttavia sarebbe assai utile usare una forma impeccabile e non solo per la scrittura, ma anche per la pronuncia.
Un editor – non è superfluo ricordarlo – deve conoscere la grammatica. Ciò non vuol dire che non possa avere dubbi in merito: la grammatica italiana è complessa e, come la lingua ma in misura diversa, è soggetta a mutamento.
L’uniformazione di pronuncia
Tra le questioni che si impongono riguardo all’uso corretto di accento acuto [ ´ ] e accento grave [ ` ] vi è l’“uniformazione di pronuncia”: scrivere bene equivale a pronunciare bene.
Aldo Gabrielli (1898-1978) – linguista, glottologo e lessicografo – così scriveva:
E pure, se come norma si scrivesse da tutti, dall’Alpi al solito Lilibeo, perché, benché, né, trentatré, e così via, per indicare a un tempo l’accento tonico della parola tronca e il suono chiuso della e accentata; e viceversa si scrivesse cioè, caffè, è, Noè, ecc., per indicare il suono aperto, si potrebbe forse ottenere, a lungo andare, quella uniformazione di pronunzia, almeno nelle parole più comuni, che tanto difetta purtroppo nel nostro linguaggio.
(Si dice o non si dice? Guida pratica allo scrivere e al parlare corretto, Mondadori, 1969, p. 19.)
Schema accentuativo
In Italia vige il sistema eptavocalico: tre vocali aperte – è, ò, à –, rappresentabili graficamente con l’accento grave; quattro vocali chiuse – í, ú, é, ó – rappresentabili graficamente con l’accento acuto.
Luca Serianni (1947) – linguista e filologo – nella Grammatica Italiana (UTET, 2006) riporta uno schema accentuativo secondo una semplificazione estrema (e, vedremo, discutibile):
à, ì, ù, é, è, ó, ò
Lo schema prevede, dunque, l’accento sempre grave nei casi in cui non c’è distinzione di apertura (à, ì, ù), e distingue tra acuto e grave quando la distinzione c’è (es.: perché vs. caffè; córso vs. portò).
Lo stesso Serianni, però, attesta la presenza di un altro schema accentuativo:
à, í, ú, é, è, ó, ò
La differenza qui verterebbe sul fatto che í e ú, essendo vocali chiuse, andrebbero rappresentate con l’accento acuto, mentre la à, essendo vocale aperta, andrebbe rappresentata con l’accento grave.
Quale schema accentuativo seguire
La preferenza, da più parti sostenuta, per il primo dei due schemi accentuativi, pone in un certo imbarazzo in quanto non rispetta la realtà fonetica italiana, e complica le cose perché concede un certo margine d’arbitrio nella scelta.
A chiarire le cose, si consiglia la lettura del preciso contributo di Paolo Matteucci: Accento grafico su i e u: grave o acuto?. Matteucci giustifica la preferenza dei più, discutibile, del primo schema accentuativo rispetto al secondo come “volontà dichiarata di conformarsi/non contravvenire, per quanto possibile, «all’accentazione tradizionale degli ossitoni [parola di due o più sillabe con ultima sillaba tonica] nella tipografia italiana antica», che consisteva nell’adoperare esclusivamente l’accento grave”. Lo studioso sostiene che “un sistema «biaccentuativo» è più appropriato per l’italiano” e, da parte nostra, non possiamo che convenire con lui.
Nel rispetto del sistema vocalico italiano sarebbe preferibile utilizzare, per í e ú, l’accento acuto. Ciò comporterebbe, nello “scrivente da tastiera”, uno sforzo (che per l’utente medio dei mezzi tecnologici non è affatto trascurabile), perché la serie di tasti comprende le seguenti vocali accentate: ì, è, é, ò, à, ù, ì. Tale sforzo andrebbe fatto e però, in caso contrario, si sappia che “non c’è errore”.
Antonio Russo De Vivo © 2020
E, comunque, sapere che alla fine non c’è errore mi rincuora.
Qui siamo alla cura dei dettagli.
La ringrazio infinitamente! Articolo meraviglioso per chiarezza e completezza! Le auguro ogni bene!
Angela
La ringrazio, felice che le sia piaciuto.